Donna una e trina?

Pope Francis Holds His Weekly General AudiencePiù spazio alle donne nella società e nella chiesa, ma senza dimenticare la famiglia, suggerisce papa Francesco nell’udienza al Cif, il centro italiano femminile. Parla di indispensabile apporto della donna nella società,  sottolinea la sensibilità e l’intuizione femminile verso l’altro, il debole e l’indifeso, ma aggiunge anche di rallegrarsi nel vedere molte donne condividere alcune responsabilità pastorali con i sacerdoti nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, come nella riflessione teologica. Richiamando  alcuni passaggi dell’ Evangelii gaudium, chiede che nella Chiesa si allarghino gli spazi per una presenza femminile più capillare ed incisiva, sottolinea l’importanza delle donne nell’ambito civile e delle professioni, ma definisce insostituibile il loro ruolo nella famiglia.
Cita delicatezza, sensibilità e tenerezza, di cui è ricco l’animo femminile. Doti che “rappresentano”, dice” una genuina forza per la vita delle famiglie, ma anche “una realtà senza la quale la vocazione umana sarebbe irrealizzabile”. Ai cristiani ricorda che la famiglia non è solo un luogo privato, ma una “Chiesa domestica”, la cui salute e prosperità è condizione per la salute e prosperità della Chiesa e della società stessa. Ricorda che la Madonna crea, nella Chiesa, qualcosa che non possono creare  nè preti, nè vescovi nè Papi.
Tutto vero, tutto giusto, ma poi arriva la domanda cruciale: come conciliare impegni nella sfera pubblica, nel lavoro, nei luoghi delle decisioni  importanti, nela chiesa e al tempo stesso mantenere una presenza del tutto speciale nella e per la famiglia? Questa è effettivamente la domanda da cento punti, visto che le donne avranno pure tante doti, ma la loro giornata è di 24 ore come quella degli uomini, e le loro energie non sono inesauribili.
Discernimento e preghiera, suggerisce papa Francesco alle donne cristiane, per cercare le strade più giuste nel concreto della loro condizione. Come dire, non esistono ricette, la risposta alla cruciale domanda non è la stessa per tutte, ciascuna deve cercare la propria. E si spera non da sole, perché non è, effettivamente, problematica solo femminile.

La comunicazione per papa Francesco: olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria.

I dipendenti Rai immortalano l’ingresso di papa Francesco nell’aula Nervi

Comunicazione e incontro dovrebbero essere due parole che vanno a braccetto: come puoi comunicare a fondo senza incontrare veramente, e come puoi dire di avere veramente incontrato qualcuno senza stabilire una qualche forma di comunicazione? E invece di fatto le due parole, e le due dimensioni, si possano anche separare, tanto che il tema della 48esima giornata mondiale delle comunicazioni sociali, la prima di papa Francesco, ha come titolo
Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro.
In un mondo sempre più piccolo, globalizzato e interconnesso, è “scandalosa”, scrive papa Francesco, la distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri, il contrasto tra la gente che vive sui marciapiedi e le luci sfavillanti dei negozi, senza contare che a questa distanza ci siamo talmente abituati che non ci colpisce più. Non sorprende che il messaggio di papa Francesco punti il dito sulle forme di esclusione, di emarginazione e povertà, sui conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche, purtroppo anche religiose, e sul ruolo dei media in questo scenario. I media, sottolinea il papa, possono aiutare a farci sentire più prossimi, a rinnovare il senso di unità della famiglia umana, a favorire la solidarietà. In un tempo in cui le reti della comunicazione hanno raggiunto inauditi sviluppi e internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà il papa invita a comunicare bene, superare i muri che dividono, ascoltare, imparare gli uni dagli altri, comporre le differenze attraverso il dialogo. Tutto questo media possono aiutare a farlo. Tra gli aspetti problematici proposti all’attenzione, si cita la velocità dell’informazione che supera la capacità di riflessione e giudizio. questo avviene non solo da arte di chi fruisce dell’informazione, ma anche, a volte, da parte di chi la produce o veicola.
Alle vite di corsa, al lavoro dei comunicatori sempre più veloce, papa Francesco chiede di recuperare lentezza e calma, capacità di silenzio e ascolto. Ci si domanda se è possibile, se non è utopia pura. Forse è doveroso, considerato il vortice informativo in cui siamo immessi, ma sembra il dovere dell’impossibile, considerati i meccanismi cui è difficile sottrarsi.
Altro aspetto problematico è il giudizio sulla varietà delle opinioni che secondo il papa può portare a chiudersi in quella sfera di informazioni che corrispondono solo alle proprie attese e idee, o a determinati interessi politici ed economici. Perché non è detto che la mole enorme di informazioni in tempo reale si traduca automaticamente, per chi ne fruisce, in consapevolezza, spirito critico, in apertura di orizzonti nuovi. Paradossalmente la chiusura in una data sfera di informazioni può essere anche il meccanismo di difesa di un uomo travolto dai flussi informativi ininterrotti e da una mole di informazioni all’interno delle quali orientarsi non sempre è facile. Eppure è un tempo, il nostro, in cui le reti della comunicazione hanno raggiunto inauditi sviluppi e internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà. Dare un orizzonte di senso al flusso informativo, scegliere (che non vuol dire censurare) le notizie, contestualizzarle, gerarchizzarle, approfondirle, fa parte delle sfide dell’informazione di oggi.
La comunicazione, ricorda papa Francesco, è una conquista più umana che tecnologica. A Rainews 24 ha raccontato il teologo Arturo Paoli, nei giorni scorsi, della preoccupazione del papa, che aveva appena incontrato, per quelle risposte che illusoriamente l’uomo cerca nella tecnica e nella meccanica. E’ evidentemente questa una sfida che riguarda anche la comunicazione, che è uno degli ambiti in cui l’umano puo’ sviluppare enormi possibilità ma può correre anche dei rischi.
Chi comunica si fa prossimo, afferma il papa citando la parabola del buon samaritano, ricordando che la comunicazione ha il potere della “prossimità”. Definisce un’aggressione quella di una comunicazione tesa a indurre al consumo o alla manipolazione delle persone. Corriamo il rischio, avverte, che alcuni media ci condizionino tanto da farci ignorare il nostro prossimo reale.
Se da un lato il papa invita a non temere di farsi cittadini dell’ambiente digitale, dall’altro avverte che non basta passare lungo le “strade” digitali, ma occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero, perché “Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza”, dice, avvertendo che non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione. Audace l’affermazione che ” il mondo dei media è chiamato ad esprimere tenerezza”, e che “solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento”. Audace perché lontano dalla pratica. Eppure è vero che solo chi ascolta sa rappresentare punti di vista diversi dal proprio. Solo chi è mosso dal desiderio e dalla curiosità di capire può, con gli strumenti culturali adatti, legge una realtà sempre più complessa e sempre più frammentata. E allora per i comunicatori essere soggetti attivi dentro un processo comunicativo e dentro una realtà da rappresentare significa in effetti essere umanamente coinvolti in ciò che si narra. Aiuta il fine che ci si dà (servire la verità o gli interessi di parte? Stare dalla parte dei lettori o dei poteri?), il sistema di valori in cui si crede, perfino la passione che anima.
Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore, scrive il papa. E solo uomini e donne, più che strutture e mezzi, possono fare questo.
La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, dice ancora il messaggio, ma con la volontà di donare se stessi agli altri. Con lo stile del dialogo, ma anche con la consapevolezza che “dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute.”
C’è tanto di papa Francesco in tutto il messaggio, ma in particolare nella proposta dell’icona del buon samaritano, “che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino”.
“La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria“, chiede il papa, “la nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza”. Alla presentazione del messaggio, in sala stampa vaticana, il presidente del pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, monsignor Claudio Celli, ha ricordato un passaggio del discorso di Paolo VI a chiusura del Concilio Vaticano II, in cui si afferma che “l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio“. Che non a caso torna oggi, dopo 50 anni, come la bussola in grado di indicare la rotta.
In un mondo ferito “i giornalisti devono decidere da che parte stare“, ha provocatoriamente affermato la professoressa Chiara Giaccardi : Si può decidere di mostrare per “diritto di cronaca” le ferite con pretesa di neutralità, di obiettività e passare oltre, di fare la parte dei briganti che malmenano e distorcono la realtà, oppure di svolgere la funzione del buon samaritano che guarda il ferito con benevolenza, cercando di aiutarlo come può.
E la scelta, lo sappiamo, non è solo responsabilità dei singoli, ma anche effetto di un sistema dei media che dovrebbe andare a braccetto con una parolina che si chiama etica. Media Etica. Suona anche bene.
Se per papa Francesco la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è “una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova”, ancora una volta l’elemento fondamentale e fondante è quello umano. Ed è stato un bel segno che il messaggio del papa sia stato presentato alla stampa da una donna laica e da un vescovo.

Arturo Paoli e la Teologia della Liberazione

Dopo le diffidenze e le condanne del passato c’è oggi una visione solare e aperta della  teologia della Liberazione. Lo ha detto a Rainews 24 Arturo Paoli, antifascista, missionario della congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesù, tra i padri spirituali della teologia della Liberazione.
Lo abbiamo incontrato  subito dopo un lungo colloquio privato con il papa a santa Marta. Papa Francesco, ci    ha raccontato, è preoccupato per un mondo che cerca risposte solo nella meccanica e talla tecnica.

Artigianale, parola spia del pensiero di Papa Francesco

Una volta ha definito “artigianale” la pace. Un’altra l’educazione. Prima di parlare agli ambasciatori accreditati presso la santa sede per i tradizionali auguri di inizio anno papa Francesco ha usato l’aggettivo “artigianale” per indicare una qualità dell’amore di Dio, che è “concreto, eterno e anche artigianale”, ha detto alla messa a Santa Marta. Con la pazienza e la cura delle mani, l’artigiano produce oggetti unici, non in serie. Così forse devono fare anche gli uomini e le donne di oggi, per ricostruire, artigianalmente, quell’armonia che manca a un’umanità smarrita.
Di crisi politiche ed emergenze sociali, di guerre e violenza sui più deboli, a partire dai bambini mai nati, papa Francesco ha parlato in un ampio discorso. Ha citato un detto popolare: “Dio perdona sempre, noi perdoniamo a volte, la natura e il creato non perdona mai quando viene maltrattato”, per trattare delle violenze sulla natura che sono alla base di tante catastrofi.
Ancora una volta ha presentato agli occhi del mondo la piccola Lampedusa, come simbolo di una generale -colpevole- indifferenza.

In arrivo nuove porpore per supportare il vescovo di Roma

Che a febbraio ci sarebbe stato un concistoro per la creazione di nuovi cardinali era cosa nota, ma che il papa ne avrebbe annunciati i nomi durante l’angelus di domenica 12 gennaio è stata una sorpresa.
Forse non è stato casuale che per l’atteso elenco delle nuove porpore sia stato scelto il giorno del Battesimo del Signore, sacramento “sorgivo” per la fede, in cui il papa stesso ha battezzato 32 bambini nella Cappella Sistina.
A febbraio dunque, in concomitanza con un concistoro sul tema della famiglia, ci sarano 16 nuovi cardinali, provenienti da 12 diversi Paesi.
Tra i quattro di curia il segretario di Stato Pietro Parolin. Tra le diocesi italiane l’unica che “guadagna” una porpora è Perugia. Poi tanto mondo rappresentato.
Il più emerito tra gli emeriti, quanto all’età, Monsignor Loris Capovilla, 98 anni, storico segretario particolare di papa Giovanni XXIII.

Chiesa: gay e nuove sfide educative.

Singolare. “Mai le nozze gay”, titola la prima pagina del quotidiano dei vescovi Avvenire riportando una frase del vicepremier Alfano. Contemporaneamente altri giornali e siti on line titolano su papa Francesco che “apre alle coppie gay”. Ma è davvero così? La questione della riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali agita il dibattito politico italiano da anni, ed è tornata in primo piano in questi giorni turbolenti. Ma per la chiesa altro è il piano, altri sono i tempi. A sollevare la questione un articolo de La Civiltà cattolica, che riporta i contenuti di un incontro di papa Francesco con i superiori generali degli istituti religiosi maschili che si è svolto a fine novembre. Il direttore della rivista, padre Antonio Spadaro, presente a quelle tre ore circa di colloquio a braccio, informale, fatto di domande e risposte, ne riporta i contenuti a distanza di oltre un mese. Sono diversi, vanno dalla qualità della formazione nei seminari alle frontiere della missione. Si racconta di una chiesa attrattiva, di radicalità evangelica, il papa chiede “diversità” e “profezia” alla testimonianza dei religiosi. Poi il passaggio sulle “sfide educative inedite” di questi tempi, in cui papa Francesco cita il caso di una bambina di Buenos Aires che confidò alla maestra il motivo della sua tristezza: “la fidanzata di mia madre non mi vuoe bene”. Davanti alle sfide nuove, “difficili da comprendere”, papa Francesco manifesta preoccupazioni educative e pastorali, fatte di domande più che di risposte. “LA” domanda che le sintetizza tutte è: “come annunciare Cristo a una generazione che cambia?” Il papa avverte che “bisogna stare attenti a non somministrare un vaccino contro la fede”, ma quali siano le risposte, a breve e a lungo termine, è presto per dirlo. Quello che da parte di papa Francesco emerge con chiarezza è la richiesta di aprire bene occhi e orecchie sulla realtà, senza preconcetti e senza condanne aprioristiche, ma è altrettanto chiaro che per la chiesa il significato di parole come “matrimonio” o “famiglia” è quello di sempre e non è oggetto di discussione alcuna. Diversa è l’attenzione per le persone nella situazione in cui vivono. “Chi sono io per giudicare?” aveva detto il papa la scorsa estate, a proposito dell’omosessualità.
Questo come altri temi saranno oggetto del sinodo sulla famiglia del prossimo anno su cui le chiese di tutto il mondo si stanno interrogando a partire da un questionario di 38 domande finalizzato proprio a un’analisi delle nuove realtà, dalle famiglie monoparentali alle coppie di fatto ai divorziati risposati, alle coppie dello stesso sesso.
L’orizzonte è quello ricordato da papa francesco all’Angelus di domenica 5 gennaio: “per quanto la storia umana e quella personale di ciascuno di noi possa essere segnata dalle difficoltà e dalle debolezze, la fede nell’Incarnazione dice che Dio è solidale con l’uomo e con la sua storia”. La conclusione è che “questa prossimità di Dio all’uomo, ad ogni uomo, è un dono che non tramonta mai!”.

Effetto Francesco. Più di 6 milioni e mezzo a San Pietro

Pope Francis' visit "Bambin Gesu" children's hospitalDal 13 marzo, giorno dell’elezione di papa Francesco, e nei mesi successivi, l’afflusso di persone per partecipare a celebrazioni, udienze e Angelus non solo non è andato calando, come qualcuno ipotizzava dopo le prime settimane di entusiasmo, ma anzi è stato un crescendo continuo, che ha portato in Vaticano circa 6milioni 623mila fedeli. Cifra approssimativa, su dati resi noti dalla Prefettura della Casa Pontificia, calcolati in base alle richieste di partecipazione agli incontri con il Papa, degli inviti distribuiti dalla Prefettura, di una valutazione delle presenze per le celebrazioni ed eventi a ingresso libero. Enorme la cifra dei fedeli stimati, che significa 6milioni 623mila volti e storie. Significa famiglie, giovani, bambini, per tanti un viaggio per arrivare a Roma, un desiderio magari coltivato da tempo, un progetto… Per tanti il sogno di un contatto ravvicinato, di una parola, di una stretta di mano. Questi dati, che non includono gli eventi al di fuori del Vaticano, dalla Gmg di Rio, alle visite apostoliche, sono la spia di una relazione viva tra il vescovo-pastore e il popolo al quale papa Francesco, dal suo primo Buonasera, ha chiesto di cominciare un cammino insieme. Un rapporto reciproco, inscindibile, che al di là dei numeri, e del fenomeno apparentemente di massa, chissà quali e quante sorprese contiene. La gente sembra nutrirsi di questa relazione, ma anche papa Francesco sembra non poterne fare a meno, è per lui vitale.
E’ significativo che nel nominare il nuovo Segretario della Conferenza episcopale italiana papa Francesco abbia avuto la sensibilità di chiedere scusa alla sua diocesi. Un modo per dire che non c’è pastore senza pecore, e ogni decisione che coinvolga un pastore riguarda in qualche modo anche le sue pecore.