A metà degli anni ’60, giovane professore al collegio argentino dell’Immacolata, Bergoglio non solo volle ammettere le donne in una rappresentazione teatrale, ma fu categorico nel richiederle per i ruoli loro propri.
L’episodio è riportato in un’intervista a un ex studente pubblicata sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica.
Il collegio era maschile, e o si mettevano in scena opere senza personaggi femminili oppure i personaggi femminili erano rappresentati da uomini. Continua a leggere
Category Archives: Chiesa
Povera per i poveri La chiesa di Francesco
l sogno di papa Francesco di una chiesa povera e per i poveri ha dato il titolo all’ultimo libro del cardinale Muller, prefetto per la congregazione della dottrina della fede, pubblicato dalla Lev.
Alla presentazione il cardinale Maradiaga e il teologo Gustavo Gutierrez, tra i fondatori della teologia della liberazione. Che oggi significa per tutta la chiesa molte cose, come suggerisce
l’immagine plastica del tedesco Muller che indossa il poncho peruviano.
Governo d’Italia e governo della chiesa
La singolare coincidenza tra il giuramento del governo Renzi e il primo Concistoro ordinario di papa Francesco, hanno reso in contemporanea due riti, uno civile l’altro religioso, uno relativamente giovane, l’altro molto antico.
Mentre al Quirinale giuravano i 16 ministri nelle mani del presidente della Repubblica, nella basilica di San Pietro il papa imponeva berretta rossa e l’anello a 16 nuovi cardinali elettori.
Il governo Renzi è rosa per metà e abbassa l’età media a 47 anni. Con le 16 nuove porpore il Collegio cardinalizio di papa Francesco apre al mondo con maggiore internazionalizzazione (2 asiatici, per la prima volta un haitiano, due africani, 6 europei, 6 americani, di cui 5 dell’America Latina, 12 i Paesi rappresentati).
Due i testi base, la Costituzione da una parte e l’Evangelario dall’altra.
Necessità e urgenza di riforme per l’una e per l’altra sponda del Tevere.
Freddo il passaggio di consegne Letta Renzi; caloroso e fraterno l’ abbraccio tra papa Francesco e Benedetto XVI che per la prima volta dalla rinuncia ha partecipato a una liturgia in basilica.
Quasi contemporaneamente dal Quirinale uscivano i ministri del governo Letta e dal Vaticano i cardinali.
I due colli. Così importanti per la storia, così importanti per il futuro. Cammini paralleli, destini chissà.
Una chiesa povera non è senza beni e denaro
Una chiesa povera e per i poveri è nel cuore di papa Francesco, che nella prefazione al libro del cardinale Muller, a questo sogno dedicato, avverte che “la ricchezza è un bene solo se aiuta gli altri”. Una chiesa povera non è una chiesa priva di beni o di denaro, ma una chiesa libera, che riesce a dare al denaro e ai beni la loro giusta funzione. I cardinali del consiglio degli 8 che lavorano sulle riforme, hanno in questi giorni ascoltato anche soggetti e commissioni che si occupano di economia, finanze e Ior. La fase è ancora quella dello studio, le decisioni sono attese. Tra le ipotesi si va dalla soprressione, visto che “San Pietro non aveva una banca” alla trasformazione dello Ior in una banca etica. Ma si potrebbe anche decidere di intervenire per garantire maggiore trasparenza all’assetto attuale, oppure di unire lo Ior con l’Apsa, l’ente che amministra il patrimonio della Sede Apostolica.
Per papa Francesco “Il denaro di per sè può essere uno strumento buono, che allarga le possibilità – come scrive nella citata prefazione- o un mezzo che allontana l’uomo dall’uomo, confinandolo in un orizzonte egoistico”. Come in molti casi il discrimine è l’uomo.
San Valentino, tutti Bergogliosi
“Siamo tutti Bergogliosi” non lo avevo ancora sentito. E’ lo slogan più originale portato in Piazza San Pietro dai fidanzati ricevuti in udienza da papa Francesco in occasione di San Valentino.
Dono del papa a ogni coppia un cuscino su cui riporre le fedi nuziali il giorno del matrimonio, con l’invito a non aver paura di dire un si definitivo.
Parole, quelle del papa, ogni tanto interrotte da sorrisi gustosi. Il più suggestivo a inizio udienza, quando mons Paglia, presidente del pontificio consiglio della famiglia, inizia a parlare troppo presto, interrompendo il canto. Papa Francesco ride divertito. VEDI VIDEO
Un anno dopo, due uomini vestiti di bianco
Un anno fa, quando Benedetto XVI annunciava che avrebbe lasciato il pontificato, nessuno sapeva immaginare quel che ne sarebbe seguito.
Il solo pensiero di due uomini vestiti di bianco era per molti sconvolgente.
Oggi non solo riusciamo a pensare quel che allora sembrava impensabile, ma lo vediamo e giudichiamo normale come ogni cosa di cui si è accettata la possibilità dopo averla sperimentata: uno di quei casi in cui la realtà supera l’idea.
Per quella decisione inedita manca la parola adatta, forse qualcuno dovrebbe inventarla. Inesatta la parola “dimissioni”, non adeguata la parola “rinuncia”.
Del resto quella decisione, che Ratzinger disse di aver preso “dopo avere esaminato ripetutamente la mia coscienza davanti a Dio” fu resa possibile anche da un Concilio che aveva riconosciuto il primato della coscienza. Ed è giovane il concilio, appena mezzo secolo.
La vita di Ratzinger, in vaticano, scorre riservata e nella preghiera, ma non è isolata. Tra quanti ogni tanto vanno a fargli visita c’è anche papa Francesco, che un giorno lo definì affettuosamente “come un nonno”, mentre Benedetto ha scritto recentemente di sentire come “unico e ultimo compito”, quello di sostenere il Pontificato di papa Francesco nella preghiera.
Un anno fa ci sembrò un gigante che usciva di scena in punta di piedi.
Oggi un testimone coerente che in diversi modi si può servire la chiesa, ma solo mettendosi in ascolto di un’istanza più alta. Tutto il resto è solo umanità.
Pensare l’impensabile,
Un anno dopo la rinuncia di papa Benedetto
Inattesa, insospettata e insospettabile, la rinuncia al pontificato che Benedetto XVI, con tono pacato, parlando in latino, comunicò ai cardinali quell’11 febbraio di un anno fa.
Una data rimasta scolpita nella memoria di tanti, indelebile. Una data diventata simbolo di un’epoca, come era stato, qualche anno prima, l’11 settembre. La notizia delle “dimissioni”, del papa (anche se il termine non è corretto) fece subito il giro del mondo. E il mondo stentava a credere. Un fulmine a ciel sereno, la definì il decano del collegio cardinalizio. Molti ricordano dov’erano quando seppero, che reazione ebbero. Per i più fu di incredulità. Seguirono ore, giorni, settimane, di grande concitazione dentro e fuori la chiesa, per capire cosa era successo, perchè, quali scenari apriva quella decisione presa “dopo avere esaminato ripetutamente la propria coscienza davanti a Dio”.
E’ passato un anno, 12 mesi intensi che abbiamo analizzato, raccontato, commentato, digerendo quel che all’inizio sembrava indigeribile, ammettendo come possibile ciò che sembrava impossibile. Quella che tecnicamente fu una rinuncia si delineò ben presto come un atto di governo. Potente, efficace. Un gesto umile e grandioso allo stesso tempo.
Oggi non fa problema a nessuno che in vaticano abitino un papa e un papa emerito, che tra i due ci siano rapporti più che cordiali. “Siamo fratelli”, sdrammatizzo’ subito papa francesco. Oggi Ratzinger fa vita riservata e di preghiera, ma non isolata. Il teologo hans Kung ha riferito di una lettera in cui Benedetto XVI gli scrive di “una grande identità di vedute e di un’amicizia di cuore con Papa Francesco”. Al quale si sente legato anche quello che ha definito, oggi, il suo “unico e ultimo compito”, cioè “sostenere” nella preghiera il Pontificato di Francesco.
“Pensare l’impensabile”, era un motto di Vaclav Havel, leader della primavera di Praga, detta anche “rivoluzione di velluto”. In un tempo e in un contesto diversi Benedetto l’ha fatto. Francesco sta continuando a farlo.
Vita consacrata, Non è solo affare di preti e suore
La decisione di papa Francesco di dedicare un anno alla vita consacrata non è “altro” rispetto al cammino di riforme già avviato nella chiesa, e non è qualcosa che riguardi solo i religiosi e le religiose di oggi e di domani, ma riguarda la chiesa tutta, ivi compresi i laici, e il mondo in cui la chiesa vive, con le sue frontiere, i suoi centri e le sue periferie, le sue luci e le sue ombre.
L’invito di papa Francesco ai religiosi a non essere “mai rigidi, mai chiusi, sempre aperti alla voce di Dio che parla, che apre, che conduce, che invita ad andare verso l’orizzonte” non riguarda solo la vita dei duemila istituti esistenti, per un totale di un milione e mezzo di consacrati e consacrate, ma i contesti di vita in cui questi sono inseriti.
“Le persone consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri”, ha suggerito il papa all’angelus. E quando così non è, si assiste a uno snaturamento, o a una forma di corruzione della vita consacrata, con generale danno per tutti, compresa la società, che si trova senza lievito, impossibilitata a una crescita cui avrebbe diritto.
Per il papa “ogni persona consacrata è un dono per il Popolo di Dio in cammino”.
Ecco, sarebbe interessante sentire direttamente da questo popolo voci che spiegassero come vorrebbero i consacrati o le consacrate, e come assolutamente non li vorrebbero. Persone che facessero domande, che si ponessero in dialogo.
Alcuni anni fa una bambina che da poco aveva imparato a parlare fece a una religiosa già avanti negli anni una domanda semplice ma che la mise in crisi: “a che servono le suore?”. La risposta non fu immediata, ma immediata fu la promessa: “ci devo riflettere, ma ti darò una risposta”. La risposta arrivò dopo alcuni mesi, in forma pubblica, alla messa per il suo cinquantesimo anniversario di vita consacrata. Era stata missionaria in terre lontane, aveva contribuito a fondare scuole e comunità, aveva assistito a parti difficili nella foresta africana, ma nella domanda semplice di una bambina quella donna aveva trovato il pungolo giusto per interrogarsi sulla sua identità più profonda e sullo scopo stesso della sua vita, di cui tanta parte era già vissuta.
Un esercizio di questo genere, anche in forma di domande-risposte, non sarebbe male in vista dell’anno della vita consacrata, che prenderà forma a partire dal novembre del 2014. Così, per non farne un affare solo di preti e suore….
Donna una e trina?

La comunicazione per papa Francesco: olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria.
Comunicazione e incontro dovrebbero essere due parole che vanno a braccetto: come puoi comunicare a fondo senza incontrare veramente, e come puoi dire di avere veramente incontrato qualcuno senza stabilire una qualche forma di comunicazione? E invece di fatto le due parole, e le due dimensioni, si possano anche separare, tanto che il tema della 48esima giornata mondiale delle comunicazioni sociali, la prima di papa Francesco, ha come titolo
Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro.
In un mondo sempre più piccolo, globalizzato e interconnesso, è “scandalosa”, scrive papa Francesco, la distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri, il contrasto tra la gente che vive sui marciapiedi e le luci sfavillanti dei negozi, senza contare che a questa distanza ci siamo talmente abituati che non ci colpisce più. Non sorprende che il messaggio di papa Francesco punti il dito sulle forme di esclusione, di emarginazione e povertà, sui conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche, purtroppo anche religiose, e sul ruolo dei media in questo scenario. I media, sottolinea il papa, possono aiutare a farci sentire più prossimi, a rinnovare il senso di unità della famiglia umana, a favorire la solidarietà. In un tempo in cui le reti della comunicazione hanno raggiunto inauditi sviluppi e internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà il papa invita a comunicare bene, superare i muri che dividono, ascoltare, imparare gli uni dagli altri, comporre le differenze attraverso il dialogo. Tutto questo media possono aiutare a farlo. Tra gli aspetti problematici proposti all’attenzione, si cita la velocità dell’informazione che supera la capacità di riflessione e giudizio. questo avviene non solo da arte di chi fruisce dell’informazione, ma anche, a volte, da parte di chi la produce o veicola.
Alle vite di corsa, al lavoro dei comunicatori sempre più veloce, papa Francesco chiede di recuperare lentezza e calma, capacità di silenzio e ascolto. Ci si domanda se è possibile, se non è utopia pura. Forse è doveroso, considerato il vortice informativo in cui siamo immessi, ma sembra il dovere dell’impossibile, considerati i meccanismi cui è difficile sottrarsi.
Altro aspetto problematico è il giudizio sulla varietà delle opinioni che secondo il papa può portare a chiudersi in quella sfera di informazioni che corrispondono solo alle proprie attese e idee, o a determinati interessi politici ed economici. Perché non è detto che la mole enorme di informazioni in tempo reale si traduca automaticamente, per chi ne fruisce, in consapevolezza, spirito critico, in apertura di orizzonti nuovi. Paradossalmente la chiusura in una data sfera di informazioni può essere anche il meccanismo di difesa di un uomo travolto dai flussi informativi ininterrotti e da una mole di informazioni all’interno delle quali orientarsi non sempre è facile. Eppure è un tempo, il nostro, in cui le reti della comunicazione hanno raggiunto inauditi sviluppi e internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà. Dare un orizzonte di senso al flusso informativo, scegliere (che non vuol dire censurare) le notizie, contestualizzarle, gerarchizzarle, approfondirle, fa parte delle sfide dell’informazione di oggi.
La comunicazione, ricorda papa Francesco, è una conquista più umana che tecnologica. A Rainews 24 ha raccontato il teologo Arturo Paoli, nei giorni scorsi, della preoccupazione del papa, che aveva appena incontrato, per quelle risposte che illusoriamente l’uomo cerca nella tecnica e nella meccanica. E’ evidentemente questa una sfida che riguarda anche la comunicazione, che è uno degli ambiti in cui l’umano puo’ sviluppare enormi possibilità ma può correre anche dei rischi.
Chi comunica si fa prossimo, afferma il papa citando la parabola del buon samaritano, ricordando che la comunicazione ha il potere della “prossimità”. Definisce un’aggressione quella di una comunicazione tesa a indurre al consumo o alla manipolazione delle persone. Corriamo il rischio, avverte, che alcuni media ci condizionino tanto da farci ignorare il nostro prossimo reale.
Se da un lato il papa invita a non temere di farsi cittadini dell’ambiente digitale, dall’altro avverte che non basta passare lungo le “strade” digitali, ma occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero, perché “Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza”, dice, avvertendo che non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione. Audace l’affermazione che ” il mondo dei media è chiamato ad esprimere tenerezza”, e che “solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento”. Audace perché lontano dalla pratica. Eppure è vero che solo chi ascolta sa rappresentare punti di vista diversi dal proprio. Solo chi è mosso dal desiderio e dalla curiosità di capire può, con gli strumenti culturali adatti, legge una realtà sempre più complessa e sempre più frammentata. E allora per i comunicatori essere soggetti attivi dentro un processo comunicativo e dentro una realtà da rappresentare significa in effetti essere umanamente coinvolti in ciò che si narra. Aiuta il fine che ci si dà (servire la verità o gli interessi di parte? Stare dalla parte dei lettori o dei poteri?), il sistema di valori in cui si crede, perfino la passione che anima.
Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore, scrive il papa. E solo uomini e donne, più che strutture e mezzi, possono fare questo.
La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, dice ancora il messaggio, ma con la volontà di donare se stessi agli altri. Con lo stile del dialogo, ma anche con la consapevolezza che “dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute.”
C’è tanto di papa Francesco in tutto il messaggio, ma in particolare nella proposta dell’icona del buon samaritano, “che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino”.
“La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria“, chiede il papa, “la nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza”. Alla presentazione del messaggio, in sala stampa vaticana, il presidente del pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, monsignor Claudio Celli, ha ricordato un passaggio del discorso di Paolo VI a chiusura del Concilio Vaticano II, in cui si afferma che “l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio“. Che non a caso torna oggi, dopo 50 anni, come la bussola in grado di indicare la rotta.
In un mondo ferito “i giornalisti devono decidere da che parte stare“, ha provocatoriamente affermato la professoressa Chiara Giaccardi : Si può decidere di mostrare per “diritto di cronaca” le ferite con pretesa di neutralità, di obiettività e passare oltre, di fare la parte dei briganti che malmenano e distorcono la realtà, oppure di svolgere la funzione del buon samaritano che guarda il ferito con benevolenza, cercando di aiutarlo come può.
E la scelta, lo sappiamo, non è solo responsabilità dei singoli, ma anche effetto di un sistema dei media che dovrebbe andare a braccetto con una parolina che si chiama etica. Media Etica. Suona anche bene.
Se per papa Francesco la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è “una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova”, ancora una volta l’elemento fondamentale e fondante è quello umano. Ed è stato un bel segno che il messaggio del papa sia stato presentato alla stampa da una donna laica e da un vescovo.